2 ago 2013

DICOTOMIA

La dicotomia tra significato e significante, tra apparenza e realtà, tra logica apparente e illogicità nascosta genera il falso. ( Flavia Ricucci)

Orazi e Curiazi, Guelfi e Ghibellini, Capuleti e Montecchi, comunisti e cattolici, atei e credenti, e più in là, intorno agli anni '50 , se dovevamo comprare uno scooiter che scelta avevamo se non una "Vespa"o una  "Lambretta"  oppure  in occasione dell'acquisto di un  dolce natalizio cosa chiedevamo ( tragico dilemma) al nostro negoziante di fiducia il  classico panettone "Motta" oppure il  più trasgressivo pandoro "Alemagna" ?

Insomma per intere epoche gli ineffabili abitanti della nostra penisola si sono dibattuti in una cultura che era essenzialmente di tipo binario: da una parte il male e dall'altro il bene senza però che ci si peritasse di meglio definire cosa fossero o cosa fosse  l'uno o l'altro concetto.

Come per le regole della fisica, soprattutto quando si entrava nell'agone politico, ad ogni idea corrispondeva sempre una idea opposta e contraria. Poi siamo cresciuti e abbiamo cominciato a capire che tra il bianco e il nero esisteva una infinita varietà di grigi, siamo diventati  consumatori esperti e abbiamo imparato a scegliere il meglio in una infinità di offerte che il mercato ci offriva (era l'epoca del più sfrenato consumismo e la dinamica salariale aveva come regola quella delle "aspettative crescenti" dei lavoratori) mentre in politica assistevamo al proliferare di partiti e partitini  che andavano a confluire più o meno tutti nel parlamento, ognuno, in base ai voti ricevuti,  dotato di un maggior o minor potere.

Poi ben presto questo eden, riservato a coloro che a qualsiasi titolo manifestavano idee diverse  da quelle della maggior parte della gente cominciò a mostrare la corda e si manifestarono i primi segni del grande "inciucio". Siamo nei tempi in cui splendevano i geni politici di Moro e Berlinguer ma  in cui cominciavano a manifestarsi concetti come "le convergenze parallele",  il  "compromesso storico" e  (tragica idea) la distinzione tra partiti appartenenti al cosiddetto "arco costituzionale"  e gli altri.

Un colossale inganno si stava configurando: la democrazia cristiana e il partito comunista italiano si corteggiavano a vicenda e accarezzavano l'idea che forse forse era meglio per tutti spartirsi ragionatamente il potere e governare assieme. Era l'inizio delle "grandi intese",  dei governi di "unità nazionale", delle "grandi coalizioni",  era l'inizio della fine delle libertà democratiche, intese come alternanza al potere e come politica al servizio del cittadino, era l'inizio della partitocrazia, era il periodo in cui si misero a dimora i fruttiferi semi della "casta" e dei suoi privilegi.

Ma su questa via, su questo percorso ben studiato e programmato, si pose di traverso colui che attualmente possiamo definire il "delinquente" per eccellenza Silvio Berlusconi il quale forte del suo potere economico e mediatico più o meno lecitamente costruito si impadronì delle leve del potere  e riuscì a guidare, o perlomeno a personalizzare per circa un ventennio l'andamento della politica nazionale nel suo esclusivo e personale interesse con le conseguenza che oggi sono davanti agli occhi di tutti.

Ma in questa ultima fase e con il senno di poi dobbiamo riconoscere che la società nazionale è cambiata e molto. Abbiamo fatto un  gran salto all'indietro, abbiamo cancellato consciamente ogni idea di pluralità, siamo tornati al muro contro muro, ai Guelfi e ai Gibellini (ovvero o con l'imperatore o contro l'imperatore) e apparteniamo volenti o nolenti solo a due grandi partiti d'opinione: siamo filo-Berlusconi o anti-Berlusconi.

La dicotomia  ci è entrata nel sangue: o così o cosà, e non c'è scampo. E' indubbiamente un regresso storico, facciamo ormai parte di due tribù che si combattono con tutti i mezzi, senza esclusione di colpi e come finirà è un azzardo prevederlo. Ma una cosa possiamo ipotizzare, noi abbiamo le capacità di riprendere il cammino democratico bruscamente interrotto, abbiamo le forze di riprendere il nostro naturale sviluppo economico, possiamo aspirare a primeggiare, come eravamo, tra le nazioni più economicamente sviluppate. Possiamo, ma ad una sola condizione, che il monarca il quale ha dominato questo ventennio se ne vada, senza appello, per sempre.

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